La preparazione, nell’attuale sistema disegnato dai D.lgs. 28/2010 e DD.MM. 180/2010 e 145/2011, è un aspetto assolutamente fondamentale per la crescita di una mediazione di qualità, che unisca diversi profili: competenza ed esperienza nell’ambito professionale in cui si interviene (il tirocinio infatti è assistenza ad altrui esperienze di mediazione), capacità gestionali, negoziali, comunicative e di ascolto empatico.
Il diritto, dunque, come la comunicazione, l’ascolto, la persuasione, la creatività nella formulazione di domande, la lettura dei comportamenti e interessi delle parti, intervengono nell’impianto cosi disegnato in modo significativo, caratterizzando l’intervento del mediatore tanto ai fini compositivi della lite, quanto nella eventuale fase valutativa-aggiudicativa.
Completare le proprie esperienze, arricchire le proprie capacità e crescere professionalmente sono obiettivi che un mediatore serio vuole e deve perseguire, mirando a diffondere – attraverso comportamenti e azioni – la cultura della mediazione, del dialogo costruttivo, del confronto aperto, anche durante i singoli incontri di mediazione.
L’autorevolezza del mediatore importante per gestire il procedimento di mediazione in ogni sua fase, partendo dal presupposto che le parti in lite sono e restano essenzialmente esseri umani, con proprie debolezze e punti di forza, aspettative e delusioni, atteggiamenti costruttivi e ostruzionistici, emotività e apparente freddezza. Esseri umani che spesso non sono abituati a confrontarsi di propria iniziativa per dialogare e imparare (arricchendosi l’un l’altro) dalle diversità, ma che si affidano, quasi come se fosse necessario azionare il pilota automatico in determinati frangenti in cui gli animi si surriscaldano, a comode deleghe (delego a te avvocato affinchè mi difenza e mi faccia avere ragione). Deleghe che comportano anche una perdita – a volte parziale, a volte totale – del contatto con i propri interessi reali in gioco, con quei bisogni che solo la persona direttamente coinvolta in una questione, problematica o criticità, è in grado di manifestare.
Spesso non si ha una piena cognizione delle differenze che esistono tra la veste giuridica che l’avvocato deve dare, per mandato e per esigenze di carattere processuale, alle ragioni dei propri assistiti, che assumono il nomen di diritti e pretese, e quelli che sono i reali interessi e bisogni in gioco. Tale differenza deve essere tenuta in debita considerazione dal mediatore, che oltre a rappresentare una spugna per filtrare l’acqua sporca presente in ogni scambio comunicativo o rapporto alterato o compromesso dal conflitto, non deve mai perdere di vista cosa realmente è importante per le parti in lite, chi sono, perché sono lì, cosa si aspettano, quali emozioni negative o positive hanno. E’ fin troppo facile perdere di vista ciò che realmente sta a cuore alle parti: è facile per le parti stesse, che spesso cambiano atteggiamenti, stati d’animo, intenzioni, anche per una frase mal detta o mal riferita, ovvero per un tono di voce percepito come aggressivo o di attacco; è facile per il mediatore, che deve prestare la massima attenzione a ogni linguaggio utilizzato dalle parti durante la mediazione, verbale e non verbale, verificare la congruenza tra gli stessi, lavorare con metodo e meticolosità, per non farsi disorientare tra possibili urla, offese, distanze comunicative.
Lavorare con la testa, dunque, facendo un piano negoziale flessibile, da aggiornare di volta in volta, tenendo a mente i momenti vissuti all’interno del procedimento di mediazione, l’esperienza pratica acquisita nella gestione della singola mediazione, i comportamenti avuti dalle parti durante gli incontri congiunti e riservati, gli obiettivi che le parti si prefiggono di raggiungere, ogni altro dettaglio che consente di avere un quadro chiaro, evitando pericolose zone d’ombra che possono minare il lavoro già fatto.
Lavorare con intelligenza, senza farsi fuorviare da altrui comportamenti, che potrebbero essere improntati anche alla scorrettezza.
Lavorare con consapevolezza, coscienti del fatto che ogni mediatore deve avere un proprio peso e ruolo, nessuno può essere un tuttologo e quindi saper gestire ogni situazione di conflittualità in ogni contesto professionale; tutti, però, possono integrarsi e completarsi attraverso le altrui esperienze di mediazione, come tirocinanti, mediatori o, perché no, anche come assistenti di parte.