La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata con sentenza del 1 agosto 2012, n. 13797, soffermandosi, in particolare, sulla sanzione disciplinare irrogata a un avvocato per aver violato l’art. 38 L.P. in riferimento all’art. 49 ed all’art. 22 del Codice Deontologico Forense. Tali disposizioni sanciscono quanto segue:
Art. 22 – Rapporto di colleganza.
L’avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà.
I. L’avvocato che collabori con altro collega è tenuto a rispondere con sollecitudine alle sue richieste di informativa.
II. L’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, tranne che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.
III. L’avvocato non può registrare una conversazione telefonica con il collega. La registrazione, nel corso di una riunione, è consentita soltanto con il consenso di tutti i presenti.
Art. 49 – Pluralità di azioni nei confronti della controparte.
L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita.
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Riconoscimento di sentenza straniera di divorzio – K. Mascia
TRIBUNALE DI MONZA, sez. IV, 11 aprile 2011, n. 1104 – Pres. Miele – Rel. De Giorgio
Separazione giudiziale – Sentenza di divorzio pronunciata in uno stato straniero – Condizioni di validità – Riconoscimento dell’efficacia della sentenza straniera in Italia – Rispetto dell’ordine pubblico ed accertamento dell’intollerabilità della convivenza e irreparabilità della crisi coniugale.
(L. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 3, 32, 64; Reg. CE 27 novembre 2003, n. 2201/2003, art. 3)
La sentenza di divorzio pronunciata da un tribunale dell’Ucraina è valida ed efficacia in Italia ove siano rispettati tutti i requisiti richiesti dall’art. 64 della l. 31 maggio 1995, n. 218 e non sia contraria all’ordine pubblico. Dunque, ai fini del riconoscimento dell’efficacia della stessa, a nulla rileva la circostanza che il diritto straniero preveda che la sentenza di divorzio possa pronunciarsi prescindendo dallo stato di separazione personale dei coniugi, richiesta dal diritto italiano al fine di consentire loro di valutare la possibilità di tornare sui propri passi, ritenendosi sufficiente che il divorzio segua l’accertamento del venir meno della comunione tra i coniugi e dell’irreparabilità della crisi coniugale.
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Diritto di visita del genitore non affidatario – K. Mascia
TRIBUNALE DI NICOSIA, 22 aprile 2008 – Pres. Dagnino – Est. Sepe
Separazione consensuale – Diritto del minore alla bigenitorialità – Affidamento condiviso – Affidamento esclusivo – Interesse del minore – Modifica delle condizioni di separazione – Esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario – Collegamento in video – ripresa su internet.
(C.c. artt. 155, 155 bis, 155 ter; c.p.c art. 710; l. n. 54/2006)
Il diritto di visita spettante al genitore non affidatario può essere esercitato, nei riguardi dei propri figli minori collocati a distanza, ricorrendo a forme di collegamento in video – ripresa su internet. A tal fine, però, è necessario che lo stesso genitore metta a disposizione della propria prole, a sue spese, idonea apparecchiatura, sopportando i relativi costi di gestione del collegamento. Tale forma di comunicazione, pur se ammessa, non deve tuttavia essere intesa come sostitutiva della relazione fisica tra genitori e figli.
(…)
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Il Tribunale di TERMINI IMERESE, Sezione civile, è recentemente intervenuto con una ordinanza del 9 maggio 2012 con la quale si è soffermato su specifici profili legati alla mediazione finalizzata alla conciliazione, con particolare riferimento all’ipotesi, disciplinata dall’art. 8, comma 5, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, della mancata partecipazione al procedimento senza un giustificato motivo. La norma citata, così modificata dall’art. 2, comma 35-sexies, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, prevede che: “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio“.
Nello specifico, il giudice ha individuato espressamente la ratio della disposizione di cui innanzi, evidenziando come le motivazioni addotte dalla parte chiamata in mediazione, riassumibili nella “acclarata ed atavica litigiosità” tra le parti e che portavano a ritenere inutile l’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, non fossero valide, in considerazione del fatto che “la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti“.
Un giudice che, quindi, ritiene obbligatoria la pronuncia di condanna, in virtù della disposizione richiamata, della parte assente senza giustificato motivo, e che rileva come l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non possa ritenersi necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia, ma possa, anzi, essere irrogata in un momento antecedente.
Una pronuncia che nella sua semplicità individua una strada corretta, che va nella scia di salvaguardare lo strumento della mediazione sotto il profilo applicativo, anche nell’ottica di dare concretezza alle sanzioni previste dal legislatore.
“Deve essere ricordato che nulla è più difficile da pianificare, più dubbio a succedere o più pericoloso da gestire che la creazione di un nuovo sistema. Per colui che lo propone ciò produce l’inimicizia di coloro i quali hanno profitto a preservare l’antico e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che sarebbero avvantaggiati dal nuovo” (Niccolò Machiavelli).
Come noto agli addetti ai lavori e ai professionisti del comparto mediazione, l’art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 prevede che, fermo restando la previsione di cui al comma 1 (casi di tentativo obbligatorio di mediazione come condizione di procedibilità) e fatti salvi i contenuti dei commi 3 e 4 (ipotesi in cui, rispettivamente, lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale, nonchè i casi in cui i commi 1 e 2 non si applicano), il giudice, anche in sede di giudizio di appello, può valutare la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, e può invitare le stesse a procedere alla mediazione.
Tale previsione, espressione della cd. mediazione delegata o demandata dal giudice, rappresenta uno snodo fondamentale nell’applicazione dell’istituto della mediazione, in quanto conferisce al giudice un importante potere di creare all’interno di un procedimento giudiziale già iniziato, e nei limiti temporali indicati dalla norma (il comma 2 fa riferimento ad un invito rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa), uno spazio per l’utilizzo dello strumento della mediazione, sostituendo alla logica dello scontro e della lotta sulle questioni di principio, la cultura del dialogo e del confronto, espressioni di intelligenza relazionale e responsabilità sociale.
Il Tribunale di Vasto, lo scorso 5 luglio, ha emanato una ordinanza che merita di essere letta, alla luce dell’articolato innanzi menzionato e delle logiche che dovrebbero accompagnare il ricorso alla cd. mediazione delegata, evidenziando alcuni momenti essenziali della sua struttura.
Partendo dai presupposti logici e operativi che hanno spinto il giudice a fare ricorso all’ipotesi del 2° comma dell’art. 5 in esame, è bene ripercorrere i ‘considerando’ iniziali. Il giudice fa espresso richiamo tanto alla normativa comunitaria, direttiva 2008/52/CE, da cui rileva la necessità di una definizione rapida del procedimento, per rendere concreta la garanzia di miglior accesso alla giustizia (better access to justice), quanto alla normativa nazionale, D.lgs. 28/2010, in relazione al quale si sofferma espressamente sulle disposizioni di cui agli artt. 5 (Condizione di procedibilità e rapporti con il processo), 11 (Conciliazione)) e 13 (Spese processuali).
In particolare, il giudice rileva l’opportunità che le parti possano rivolgersi, personalmente e per il tramite dei propri difensori, ad un organismo pubblico o privato di mediazione, visti i presupposti favorevoli presenti (nell’ordinanza si rileva che “la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti rendono particolarmente adeguato il ricorso a soluzioni amichevoli della medesima, anche in considerazione del contenuto delle proposte conciliative formulate nel corso del giudizio“), ed evidenzia come sia importante per le parti poter fruire di un servizio di mediazione offerto in presenza di un Regolamento di procedura (dell’organismo scelto) che non contenga clausole limitative del cd. potere valutativo del mediatore. Tale potere, espressamente disciplinato dall’art. 11 del citato decreto 28, consente al mediatore, quando l’accordo non è stato raggiunto, di formulare una proposta di conciliazione. La norma stessa, poi, aggiunge che in ogni caso il mediatore formula (id est deve formulare) una proposta di conciliazione in presenza di una richiesta congiunta delle parti, in qualunque momento del procedimento. La proposta valutativa in esame deve essere preceduta da una informativa chiara e trasparente rivolta alle parti, delle possibili conseguenze di cui all’art. 13.
Orbene, il giudice sembra riconoscere particolare incisività ai Regolamenti di procedura che restringano il campo del potere valutativo all’ipotesi della richiesta congiunta delle parti, che fa scattare non tanto e non più una facoltà, ma un vero e proprio dovere di carattere giuridico. La presenza di una proposta valutativa è una delle opportunità operative e applicative che il legislatore ha voluto inserire al fine di rendere il procedimento di mediazione il più ricco possibile, affiancando a una gestione più snella, comunicativa, negoziale (propria della fase cd. facilitativa o meglio di un approccio tendente a facilitare il dialogo, la comunicazione, la comprensione), una gestione più vicina alla definizione eteroimposta, mediante una proposta del mediatore. Potremmo dire che si è cercato di istituzionalizzare una sorta di multi-door mediation, all’interno del cui procedimento diversi sono i momenti significativi e gli stati emozionali da poter individuare, variegate sono le valutazioni personali di parte che le allontanano o avvicinano al possibile traguardo dell’accordo e del reciproco riconoscimento, mutevoli sono gli scenari che vengono a crearsi, anche e soprattutto in considerazione dell’approccio che le parti, gli assistenti e il mediatore danno all’intera gestione.
L’importanza della proposta valutativa è direttamente collegata anche all’importanza che riveste l’art. 13 in tema di spese processuali e del relativo potere di intervento del giudice consistente nell’applicare i contenuti della stessa norma, disincentivando rifiuti ingiustificati, che possono verificarsi in sede di mediazione, di proposte conciliative ragionevoli.
Si ricorda che l’art. 13 ha un duplice contenuto che merita di essere richiamato in sede di commento:
“1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente“.
Il giudice non perde l’occasione di sottolineare la rilevanza della proposta conciliativa e del meccanismo che la stessa innesca, come sopra evidenziato, richiamando le recenti disposizioni del D.L. 83/2012, che interviene modificando l’art. 2 della L. 89/2001(in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo) e introducendo il comma 2 quinquies, a norma del quale “non è riconosciuto alcun indennizzo: […] c) nel caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”.
In tal modo, il giudice ha voluto confermare la tendenza del legislatore ad introdurre nell’ordinamento determinati meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali protesi con ostinazione alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia. Per poter consentire al giudice, però, di individuare tali comportamenti, è necessaria, come rileva il giudicante, “la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite“, proprio come sancisce l’art. 13 in tema di spese processuali.
Pertanto, vengono invitate le parti e i difensori ad attivare la procedura di mediazione per la definizione della controversia pendente, ricorrendo ad un’organismo accreditato presso il Ministero della Giustizia e presente nel circondario del Tribunale di Vasto, ponendo come condizione – in ossequio al ragionamento virgolettato e proposto nell’ordinanza – la presenza di un Regolamento di procedura dell’organismo che non contenga clausole limitative del potere valutativo del mediatore (potere a formulare una proposta di risoluzione della disputa) e in particolare la previa richiesta congiunta delle parti per attivare tale potere.
L’ordinanza si inquadra in uno vari casi di invito alla mediazione che, soprattutto recentemente, stanno animando l’attività dei giudici, protagonissti indiscussi del mutamento operativo e culturale che deve contraddistinguere l’approccio di coloro, parti e difensori, che pensano al giudizio come unica strada percorribile e evidentemente dimenticano che la strada del dialogo, apparentemente scomoda, porta sempre una visione più completa degli interessi in gioco.
La chiosa finale, come in apertura, per riflettere e agire con perseveranza.
“Deve essere ricordato che nulla è più difficile da pianificare, più dubbio a succedere o più pericoloso da gestire che la creazione di un nuovo sistema. Per colui che lo propone ciò produce l’inimicizia di coloro i quali hanno profitto a preservare l’antico e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che sarebbero avvantaggiati dal nuovo” (Niccolò Machiavelli).