‘Persone e non numeri: riflessione sulla giustizia tra evoluzione, involuzione e rivoluzione’ (in corso di pubblicazione su Nuova Giustizia Civile, 2015, n. 1)
Avv. Alberto Mascia – ADR, Mediatore professionista, Formatore e Responsabile scientifico
“La giustizia nei confronti dell’individuo, fosse anche il più umile,è tutto. Il resto viene dopo” Gandhi
Di seguito un estratto dell’articolo (per visionare l’articolo completo clicca qui: Giustizia.Mascia)
Le recenti novità in tema di degiurisdizionalizzazione e definizione dell’arretrato del processo civile1, al pari di ogni manovra sulla giustizia costruita tra affanni e corse dell’ultim’ora, forniscono l’occasione per fermarsi e riflettere, dentro e fuori il contesto normativo, sulle attuali condizioni di salute del nostro ‘sistema giustizia’.
Si guardi alla serie infinita e inarrestabile di norme, principi, richiami, rinvii, modifiche, integrazioni, correzioni. Si pensi a un modo di ragionare articolato e labirintico, che sembra pervadere le singole riforme proposte e attuate, spesso poi annullate ovvero stravolte. Si ponga l’attenzione su un legislatore che sembra collazionare testi slegati alle tematiche di volta in volta prese in esame, inserendo delle pezze per tamponare vuoti di tutela o mancanze di previsioni piuttosto che articolando un pensiero chiaro, omogeneo ed efficace. Si prenda in esame, infine, un atteggiamento culturale collettivo, fortemente orientato a una protezione di ciò che è ‘proprio’, scarsamente aperto e dinamico, non attratto dalla ricchezza insita nella diversità, poco incline alla creazione, valorizzazione e condivisione di comportamenti virtuosi. Un atteggiamento che appartiene a molte persone e molti professionisti. I numeri, quelli legati alle litigiosità, ai procedimenti pendenti, ai rapporti umani e professionali rovinati, ci dicono questo e molto altro.
Vivere e parlare di giustizia è diventato, nel corso degli anni e per molti aspetti, e forse è sempre stato, un esercizio squisitamente tecnico-giuridico ovvero tecnico-politico, maneggiato da esperti o pseudo tali, aspiranti politici ovvero politici di professione, logorato e appesantito in modo crescente da eccessi, cerimonialità, illogicità. Scrivere sulla giustizia è come scrivere formule segrete, inaccessibili a chi dovrà leggere, capire, rispettare .
Una involuzione sempre meno silenziosa dentro una apparente e sbandierata evoluzione del sistema Paese, formale, di facciata, quasi mai percepita dal ‘comune sentire’, quasi mai concreta, meramente ancorata a numeri di norme presentate, provvedimenti approvati, riforme varate, sul presupposto che “melius abundare quam deficere”. Tutto ciò, però, ha poco o nulla a che vedere con ciò che ‘giustizia’ dovrebbe significare, nella propria radice. Essere sinonimo di educazione, rispetto, civiltà, onestà, legalità, correttezza, moralità, coscienziosità. E molto altro.
Involuzione e non evoluzione. Non semplicemente una questione terminologica. Se per il professionista del settore giuridico non è quasi mai agevole districarsi tra le mille ragnatele del sistema giustizia, per il comune cittadino, naturale fruitore e perno dell’intero sistema, è a dir poco proibitivo cercare di capire il significato e la logica di ogni intervento realizzato. Nella mente di una persona mediamente sensibile alla salute della giustizia, la stessa appare più come un albero marcio, continuamente e caoticamente potato nella speranza che radici, tronco e rami risplendano di linfa nuova, piuttosto che come uno spazio in cui gli interessi legati al vivere quotidiano, fatto di educazione, cultura, relazione, intelligenza, scambio, sinergia, diversità, realizzazione, crescita, sviluppo, arricchimento, possano avere una propria voce reale.
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LA NEGOZIAZIONE COME CONOSCENZA E COMPRENSIONE DI SÈ E DELL’ALTRO: DAL PARTICOLARE AL GLOBALE in La nuova giustizia civile (2014), anno 1 – n. 4, pp. 69-74
di Alberto Mascia (Avvocato, mediatore professionista, responsabile scientifico presso enti di formazione, formatore, Vice-Presidente APM – Avvocati Per la Mediazione)
Più di 2000 anni fa, Plutarco, in una delle sue tante opere che hanno segnato intere epoche (i Moralia), affermava “Le persone sagge, allo stesso modo delle api, che producono il miele dal timo nonostante esso sia molto aspro e secco, dagli avvenimenti sgradevoli ricavano spesso qualcosa di conveniente e vantaggioso per sè”.
Calando tale osservazione in un ambito relazionale e negoziale, ci si può e deve chiedere perché tutto ciò che è visto come ‘altro’ rispetto a sé sia quasi sempre un nemico da demonizzare, condannare, ostacolare, combattere e non invece un alleato, un maestro che gratuitamente ci insegna (come lo stesso Plutarco ci svela ancora), che ci spinge a prenderci cura con maggiore attenzione dei nostri interessi, anche mediante le lezioni e gli insegnamenti più duri da affrontare, ma da cui impariamo a riconoscere le nostre debolezze e i nostri errori, che prima non vedevamo, migliorandoci, crescendo, evolvendo come esseri umani.
Muovendo da tale premessa, le riflessioni che voglio proporre riguardano quello che potrei chiamare il cuore pulsante della negoziazione, e nello specifico mi riferisco a tutti quegli elementi che sono racchiusi nella sfera personale e interiore, in quella dinamica e relazionale di ogni essere vivente, nelle sue abitudini comportamentali e nella sua spinta più o meno forte verso il cambiamento. La conoscenza e comprensione di sè e dell’altro determinano e arricchiscono il modo di essere e di relazionarsi di ciascun individuo in ogni scelta e negoziazione che quotidianamente viene compiuta.
La centralità della persona è il perno attorno al quale compiere un passaggio mentale e comportamentale necessario, vitale, epocale, per ogni forma di interazione: considerare l’altro non come mezzo di utilità economica o trampolino di lancio per conquiste individuali; considerare l’altro come occasione per arricchirsi di esperienza, umanità, acquisire capacità di pensare criticamente, capacità di trascendere il particolare e avere una visuale più ampia sulle cose, migliorandosi e migliorandole.
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Il ‘gioco’ della negoziazione è, quindi, sotto questo profilo, ricerca del sapore della creatività, ricerca del gioco dello scambio dei ruoli, non come mero esercizio di logica, ma un coltivare insieme la comprensione dell’altro, ma è anche sviluppo, trasformazione, educazione e rieducazione. Uno spazio potenziale tra individuo e ambiente, in cui ci si modella in tutte le fasi che contraddistinguono l’evoluzione dell’uomo, in cui ogni forma di processo mentale creativo ci permette di sviluppare una autonomia riflessiva personale e di cogliere l’opportunità che ciascuno di noi vuole concedersi, di dare un nuovo e personale senso alla propria esistenza e al mondo, a partire dalle pregresse esperienze sociali e culturali. Un nuovo punto di partenza.
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L’anticipazione del futuro passa attraverso la trasformazione dell’invisibile in visibile, un processo di innovazione che parte da una o più visioni e sfocia in mutamenti e risultati tangibili. Leadership al femminile e digitale sono due termini che sembrano appartenere a un’unica dimensione, quella del futuro, del cambiamento, dello sviluppo. Un futuro prossimo, già percepito e in parte sperimentato, che si snoda attraverso un percorso che lega la rottura di vecchie tradizioni all’apertura verso nuove sfide, la scarsa appetibilità di modelli organizzativi, promozionali, gestionali, ormai superati e inutilizzabili, alla capacità di osare con intelligenza, modernità e celerità.
La centralità e il peso crescente che il ‘digitale’ ha assunto in ogni settore della vita personale, educativa, scolastica, universitaria, editoriale, professionale, commerciale, lavorativa, istituzionale, sono sintomatici di un cambiamento radicale, continuo e costante, sempre più visibile negli ultimi anni, una vera e propria realtà da tenere in considerazione e non più una mera speranza. Cambiamento sempre più necessario, che porta opportunità di grande interesse e rilievo soprattutto per lo sviluppo della vita professionale, economica e istituzionale di un Paese, di un mondo intero.
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Orientarsi verso il digitale significa avere la capacità di costruire un nuovo modo di pensare, una nuova cultura, prima ancora che pensare a costruire un ponte solido attraverso cui traghettare con consapevolezza e capacità spazi, idee, contenuti, tutti proiettati verso una dimensione non più materiale, ma immateriale, potenzialmente suscettibile di infiniti utilizzi e applicazioni, in ogni contesto della vita. Le iniziative che in ambito nazionale e internazionale si stanno susseguendo sono davvero molteplici e lasciano intravedere sin da subito ampi margini di sviluppo e crescita, in considerazione della necessità, condivisa anche a livello istituzionale europeo e internazionale, di cogliere questa importante e impegnativa sfida e orientarsi verso nuovi orizzonti: dall’editoria online alle nuovi reti sempre più veloci, dall’utilizzo del digitale in scuole e università alle fiere online, dalla gestione digitalizzata di procedimenti amministrativi alla semplificazione degli adempimenti burocratici, dalla nascita di nuove professioni legate al web e al digitale alla proliferazione di app, tutorial e strumenti sempre più innovativi e tecnologicamente avanzati.
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Moderni o non moderni, falso dilemma da eterni Peter Pan.
Quanto sta accadendo, mi riferisco al vociare incessante sulle pseudo novità inerenti la mediazione quale strumento di vita e di definizione e risoluzione di una lite, merita una profonda e netta riflessione. Quantomeno in chi si interroga sul destino di un Paese in rotta di collisione con se stesso.
Ormai, sempre più diffusamente, si assiste alla malsana abitudine di proporre dibattiti che appaiono strutturati più come dilemmi esistenziali di pensatori che come strumenti di risposta per le esigenze e le necessità della collettività.
A tali dilemmi, di dubbio interesse e utilità, si mescolano, da un lato, urla, scoramento, tensioni, iperemotività, ansie, lacrime, per ogni notizia, virgola, accento che proviene dalle aule che contano – si suol dire -, dall’altro, festeggiamenti, ghigni, segni di vittoria e delirio di onnipotenza, sintomatici entrambi di una instabilità dilagante, di assenza di maturità, di un approccio tutt’altro che rappresentativo di un sistema giustizia che funzioni e aspiri a essere motivo di vanto e orgoglio per la storia di un Paese intero.
Storia che si fonda su piccoli istanti di vita vissuta. Come quella di chi ha avuto la fortuna di assaporare luci e ombre della giustizia, nel proprio piccolo, circondati da una cultura dell’esempio inculcata da lavoratori instancabili e grandi maestri impegnati a riscrivere e definire la storia di litigi talmente farraginosi, sconclusionati e inutili da risultare irreali, oltre ogni immaginazione.
Una vita di insegnamenti fondati su una profonda umiltà, un senso del lavoro e del rispetto molto alto, una etica fatta di fatti e non parole.
Concetti che, nemmeno con la migliore creatività, si riescono a vedere all’orizzonte di questa ‘stagione’ della giustizia.
È forse davvero il tempo di fare un passo indietro, tutti, di allontanarsi dai luoghi del delirio collettivo, quali sono i centri del potere (così allettanti, ma così deleteri per la coscienza individuale e sociale) e i piedistalli, di riprendere fiato e capire fino in fondo cosa significhi per la propria vita e per il proprio Paese ‘agire per la giustizia, nella giustizia e con la giustizia’.
È davvero il tempo delle risposte, delle scelte e delle decisioni. Non tanto e non solo nelle aule parlamentari, impegnate, da sempre, a fronteggiare pressioni, cercare compromessi, proporre e mitigare entusiasmi, fare due passi avanti e tre indietro, fare proclami per poi smentirli, cercare di far comprendere, senza comprendere. Il tutto muovendosi spesso tra buio e ignoranza di chi non ha il cuore e la mente idonei a consentire una valutazione ponderata, adeguata, consapevole delle questioni realmente in gioco.
Non è in gioco la scelta su quale dilemma proporre in un talk show di cultori, dottrinari, esimi ed egregi, nè chi sia titolato per rappresentare un’idea, nè quale pedina si debba muovere per occupare una posizione strategica sullo scacchiere in un quadro di falsi equilibri, nè tantomeno quale sia la tattica migliore da seguire tra concedere e resistere, riconoscere e trattenere.
È in gioco la dignità di un Paese, del suo passato, del suo presente e del suo futuro. È in gioco la dignità di coloro che fanno parte, a vario titolo, della storia di questo Paese. È in gioco la dignità di tutti.
Lontani da ogni retorica e ricerca di consensi.
Lontani da ogni facile sarcasmo e accanimento ad oltranza.
Parlare di una semplice scelta per la modernità della giustizia, contro l’immobilismo e l’arretratezza, equivale a vedere solo una parte di un fenomeno più complesso, articolato e assorbente.
L’esigenza di una riflessione scaturisce, o meglio dovrebbe scaturire, da una intensa emozione che avvolge l’animo e spinge la parte più pura e vera dello stesso a intervenire con una voce consapevole, un segno concreto di presenza.
Una ‘voce’ che possa fondarsi su sangue caldo nelle arterie, cuore pulsante, passione e slancio, lotta indomita, umiltà e sacrificio, un fare e un agire senza luci della ribalta, spesso nel silenzio e nella riflessione, prima ancora che nelle parole. Una voce che testimoni amore e innamoramento.
Troppo spesso si percepisce invece caos, corse per primeggiare, manie di protagonismo, capricci, ripicche, e tanto altro.
Ecco uno spazio della coscienza da recuperare.
Uno spazio in cui non si può intervenire con manovre, contromanovre, contentini, ricatti. Uno spazio che è personale, unico, prezioso, e chiede al di la di tutto e tutti un po’ di chiarezza e autenticità, verso se stessi e verso gli altri.
Ecco uno spazio che nessuna politica potrà mai contaminare, nessuna legge potrà mai scalfire, e nessuna azione potrà mai condizionare.
Uno spazio che si fonda sulla forte convinzione che fare giustizia, in qualunque forma e modo, è prima di tutto un atto di responsabilità e un’opportunità di crescita personale e collettiva; è educazione, è comportarsi con amore ed entusiasmo se si crede in un’idea, contro i ‘se’ e contro i ‘ma’, è percorrere la vita tra inciampi e ripartenze tumultuose, è dare tutto senza risparmiarsi, proponendo il proprio esempio senza aspettare l’altrui esempio.
Siamo un Paese che ha bisogno di uscire dalla sindrome di Peter Pan e assumersi responsabilità, senza più ritardi, senza più attese.
Nella storia di ogni Paese si segnano momenti di stallo e di virtuosismo nell’incedere e segnare il proprio passo.
Un passo che può avere il peso delle catene dell’inferno, può risentire del lezzo della politica che si sa essere sporca e declamatoria, ovvero può essere condizionato nell’entusiasmo da atteggiamenti protezionistici e di chiusura.
Un passo necessario, però, che compone un percorso fatto di continue storture e momenti di luce, di continui inizi e pause.
Il primo inizio è davvero a portata di mano.
Lo è anche il futuro delle coscienze, il futuro della mediazione, come quello della giustizia.
Un futuro che deve abbandonare la mera speranza, teorica il più delle volte, che altri possano maturare all’improvviso una nuova e solida consapevolezza nella gestione e trasformazione delle relazioni e dei conflitti; consapevolezza che potrebbe tardare a giungere.
Le scene di delirio quotidiano nelle aule dei tribunali, luoghi da sempre deputati – in teoria – alla difesa dei diritti, degne della migliore rappresentazione teatrale dell’inverosimile (chi scrive è avvocato, oltre che innamorato della mediazione), sono eloquenti e non hanno bisogno di commenti ulteriori, si commentano da sè.
Come l’improvvisazione che spesso si percepisce nei ‘fulminati’ sulla via di Damasco, i quali scoprono la mediazione, ne decantano le virtù, per poi perdersi in chiacchiericci e scontri armati degni delle migliori truppe di assalto.
Controsensi che dovrebbero far riflettere, davvero.
Un futuro può esistere ove ognuno decida di muovere i propri passi, recuperare e rinvigorire la consapevolezza di chi decide di salpare, anche se c’è burrasca, anche se il vento non è amico, anche se l’orizzonte non appare roseo. Salpare un po’ come vivere tra responsabilità e impegno, riappropriandosi della propria libertà di essere pensante e protagonista di un cambiamento.
Si propone in lettura un articolo pubblicato sul Notiziario Industriale n. 26 – Aprile 2013 dell’avv. Alberto Mascia sul tema ”Innovazione internazionalizzazione del sistema imprese’. L’articolo prende in esame tutta una serie di fattori di significativa importanza per analizzare la situazione delle imprese in un più ampio quadro di riferimento nazionale e sovranazionale.
Per consultare il testo del contributo, cliccare sul link che segue e visionare a partire dalla pag. 60: Articolo Mascia su Innovazione e internazionalizzazione.